LOMBARDIA / NUVOLERA (BS) / Da una visualizzazione satellitare emerge l’immagine di un gigantesco cerchio bianco, appena percettibile tra la fitta vegetazione, ma perfettamente circolare, a riprova che è stato creato dalla mano dell’uomo.

“EL SERCOL” LA STONEHENGE DEL BRESCIANO

ARTICOLO  / Isabella Dalla Vecchia

FOTOGRAFIE / Armando Bellelli e Marco Bertagna

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CATEGORIE

Provincia di Brescia
Animali mitologici / Bes Galilì
Anomalie satellitari
 Ex luoghi pagani trasformati in cristiani
Inspiegabile
Italia sotterranea
Oranti
Stonehenge



“Se non fai il bravo, ti porto nel Sercol” questo è un monito che i ragazzini bresciani sentono ancora se nell’aria c’è il rischio di compiere qualche bravata. Accade spesso che la tradizione orale nasconda qualcosa di veritiero, così, in un modo di dire, è celato un luogo oscuro che spaventa solo a pronunciarne il nome. Ma è meglio “fare i bravi” per non andarci o recarvisi per capire “che cos’è il Sercol?”.


immagine satellitare

Il nome stesso che significa “circolo”, deriva direttamente dal dialetto bresciano e indicherebbe un luogo che si trova in cima al monte Cavallo, una ripida collina boschiva sopra la cittadina di Nuvolera.

Tutti sanno cos’è, ma nessuno lo sa esattamente, fino a che due giovani studiosi di Desenzano, Armando Bellelli e Marco Bertagna, non hanno deciso di perlustrarlo, dapprima virtualmente sorvolando la zona con Google Earth e osservando qualcosa di effettivamente anomalo, a riprova che quella raccontata era più che una semplice leggenda. Si scorge ben distinto, perché di tonalità diversa rispetto alla conformazione del monte, l’immagine di un gigantesco cerchio bianco, appena percettibile tra la fitta vegetazione, ma perfettamente circolare, a riprova che è stato creato dalla mano dell’uomo.


Armando Bellelli

I due studiosi si sono dunque recati in perlustrazione, forti di questa osservazione satellitare, per gettare definitivamente luce su un luogo misterioso e sconosciuto.
E’ stato dal loro evidenziato sul posto un gigantesco cerchio di pietre bianche, a tratti ben delimitato e in altri punti semi sepolto.
Un opera colossale, dal  diametro di 42 metri, ottenuta con un’immane opera di scavo di un fossato profondo circa 2 metri, riempito con centinaia di tonnellate di pietre chiare, appoggiate l’una sull’altra, in un ambiente di straordinaria posizione panoramica, ideale sia per gli avvistamenti che per l’osservazione della volta celeste.

Perché è stato così assemblato e a quale scopo?

Una fortezza?

E’ stato giustificato come una fortezza, per la buona posizione strategica, ma poco esteso per ospitare abitazioni. Inoltre non sono presenti sorgenti, pozzi o cisterne, rendendo così troppo difficile la permanenza. Se il cerchio poteva essere un eventuale muro di cinta, sarebbe stato irrisorio e quel poco che resta non è attribuibile a un crollo.

Un luogo di culto pagano?

Forse un ambiente adibito a luogo di culto pagano (vi è in effetti una zona priva di pietre che poteva essere l’accesso all’area), come proposto dal professore Alberto Pozzi, uno dei massimi esperti di megalitismo, che avrebbe datato il “Sercol” tra il 1.500 e il 500 a.C.

Ad avvalorare questa ipotesi il tentativo di alcuni monaci intenzionati a costruire un monastero per esorcizzarlo, secondo alcune leggende fuggiti terrorizzati, in seguito ad aver avvertito misteriosi, quasi innaturali, ”canti di galli”.
(leggi la sezione Il Bes Galilì custode del Sercol)

Un osservatorio astronomico?

E’ stata chiamata la “Stonehenge bresciana” anche se strutturalmente diversa, potrebbe avere una simile funzione, quella di osservatorio astronomico, essendo il luogo molto aperto, ideale per una visione del cielo su larga scala.
Nel centro esatto del Sercol si trova l’emblema più enigmatico dell’intera struttura. E’ una figura umana scavata con le braccia rivolte verso un astro circolare, identificabile come un orante devoto al sole, orientato ad ovest, verso il tramonto. Colui che è stato definito “l’Orante” potrebbe costituire la chiave del Sercol, come simbolo dell’incontro dell’uomo con Dio?


L’orante

Non è da escludere che sia frutto di un’erosione naturale, ipotesi sostenuta da Armando Bellelli, nonostante la figura potrebbe essere stata ulteriormente modellata dall’uomo. Magari trovata casualmente dagli abitanti del luogo, ritenuta sacra per la sua forma, delimitata e protetta da un recinto di pietre, un orologio naturale, una bussola, il cui centro indicava sempre l’ovest, mentre vi si accedeva provenendo da est.

Un’antica necropoli?
Il Sercol è stato analizzato anche da Franco Liloni, studioso di cultura locale, che ha riscontrato all’interno della struttura, un centinaio di piccoli cerchi di pietra, di 130 – 180 cm di diametro definite come sepolture a pozzetto. Liloni ha individuato altre forme note nella simbologia rituale pagana, coppelle naturali di 8 cm di diametro, una forma che richiamerebbe un “teschio” creata quasi sicuramente dall’erosione e l’orante rivolto al sole che ormai ben conosciamo.

Cos’è il cerchio di pietre “Sercol”?

Sono state fatte tutte le ipotesi possibili, senza che nessuna sia risolutiva rispetto alle altre, ci troviamo sopra il paese di Nuvolera che per un curioso gioco del destino significa “zona nuvolosa” e quindi poco chiara, come effettivamente si presenta in periodo invernale. Di nome e di fatto.
L’uomo nella pianura bresciana è apparso 25.000 anni fa, come dimostrato da alcuni insediamenti paleolitici non distanti da qui, oggi all’interno dell’importante area archeologia Riparo Valtenesi, a Manerba del Garda.

Qui, in seguito ad alcuni scavi, sono stati riscoperti numerosi reperti a riprova della presenza umana tra il Mesolitico e il Neolitico Antico (6000 – 5000 a.C.), mentre a partire dall’età del Rame (3000 – 2500 a.C.) la zona fu utilizzata come luogo di culto per la scoperta di buche isolate destinate ad accogliere statue-stele in legno.

Questa stessa area fu utilizzata come necropoli per tombe collettive sigillate e coperte da piattaforme di sassi simili a quelle del Sercol, una tipologia di sepoltura particolare, forse collegata a un calendario rituale.
Ciò che pone dei dubbi sul fatto che il Sercol potrebbe essere una necropoli è la mancanza, almeno per ora perchè non sono stati eseguiti scavi, di ritrovamenti di reperti cultuali, come vasi, collane, utensili, di solito lasciati come offerta in prossimità delle tombe. Inoltre in località S. Sivino è stato individuato, ormai sommerso dall’acqua del lago, un gruppo di menhir a semicerchio.

L’aspetto negativo del Sercol

Una potenziale scoperta archeologica di grande interesse e curiosità. Ma allora, perché è rimasto nel ricordo collettivo l’aspetto negativo di questo luogo?

E’ stata  individuata incisa su una roccia una “croce di cristianizzazione” realizzata probabilmente da un monaco nel tentativo di esorcizzare questo luogo ritenuto maledetto fin dai tempi antichi.
La Val Camonica e la Val Saviore sono note terre di streghe, mentre nella vicina chiesetta di San Sivino sulla parete è riportato un patto con il diavolo inciso sulla pietra dalle mani dell’uomo e del demonio, esorcizzato proprio con una croce.
Il Sercol è orientato verso ovest, dove tramonta il sole prima di raggiungere le Terre dell’Aldilà. L’orante potrebbe essere forse un guardiano dell’Oltretomba a preservare un’antica necropoli?
Fortezza, osservatorio, luogo di culto, necropoli… quale sarà la corretta dicitura che accompagnerà la parola Sercol?

L’ennesima scoperta ottenuta grazie all’intervento satellitare. Con le nuove tecnologie stiamo sempre più conoscendo il nostro pianeta e i nostri antenati, ignoti fino a poco tempo fa. Luoghi che possono essere notati solo dall’alto, zone identificabili solo se viste dal cielo. Stiamo “guardando” con occhi diversi, estesi per chilometri, facoltà esclusiva delle divinità.
Ci siamo forse avvicinando realmente a Dio?

Il Bes Galilì custode del Sercol di Armando Bellelli – armando.bellelli@gmail.com
Molte sono le leggende che aleggiano sul Monte Cavallo di Nuvolera, sulla cui sommità si trova il misterioso Sercol, una in particolare potrebbe aprire interessanti scenari ricollegabili al grande cerchio di pietre.
La leggenda dello spaventoso Bes Galilì, il serpente gallo, che infesterebbe il Monte Cavallo e le sue grotte, figura tipica del folklore bresciano e non solo, è ricollegabile al più noto basilisco, mortifero mostro incrocio tra un serpente e un gallo.

Il Bes Galilì viene rappresentato come un rettile dalle dimensioni variabili con una sorta di escrescenza sul capo, simile alla cresta del gallo, da cui il nome. I suoi occhi hanno il potere di ipnotizzare le vittime o addirittura di pietrificarle.
Sulla fronte porta inoltre un gioiello, fonte dei suoi poteri, da cui si separa solo quando beve o fa il bagno, unici momenti durante i quali un temerario ladro può provare a rubare la straordinaria pietra, in grado di donare immensa fortuna al suo possessore. Nonostante questa sia solo una leggenda, numerosi sono stati gli avvistamenti di serpenti crestati, anche in tempi recenti, in Val Sabbia e Val Trompia, addirittura serpenti che emettevano “il verso del gallo”…

Ci torna alla mente un’altra leggenda del monte Cavallo che narra di monaci medievali che tentarono di costruire un monastero sul Sercol, messi però in fuga dal canto di misteriosi e spaventosi galli…
Strana coinicidenza… erano forse i Bes Galilì?
Naturalmente non bisogna pensare ai poveri monaci inseguiti da serpenti mostruosi, ma un analisi attenta può forse fare emergere un retaggio antichissimo, arrivato fino a noi con la biscia gallo come allegoria.
La figura del serpente crestato (anche se forse ricollegabile ad animali realmente esistenti, come la vipera dal corno) fa parte del bestiario di ancestrali culti pagani, sopravvissuto alla cristianizzazione che tante volte non è riuscita ad andare oltre ad una superficiale coltre sulla tradizione popolare. Esempio è la festa del Badalisc ad Andrista, in Val Saviore, festeggiata tra il 5 e il 6 gennaio ,in forma di carnevale alpino. Il trascorrere del tempo ha fatto smarrire gran  parte della cerimonia, soprattutto nella sua parte recitata e musicata, per cui rimane solo il grande serpente che ogni anno percorre le strade del villaggio.
Simbolo questo di un culto risalente a millenni prima..

Cit.”Sebbene tali tracce siano molto labili, è necessario ritornare proprio al nome della festa: “badalisc” (61), in realtà una forma volgarizzata di “basalisc”.
In questo senso deve essere confrontato con l’antico linguaggio dei camuni in cui esiste la forma “bashalum”, cuocere.
Colui che cuoce è il fonditore e quindi si tratta di una antica festa degli artigiani dei metalli. Resta il problema del perché questi artigiani abbiano scelto il serpente. Anche qui bisogna far riferimento all’antica metallurgia.
Trattandosi di piccoli forni il prodotto usciva in rivoletti, in cui si formavano piccole asticciole di metallo le quali avevano appunto la forma di serpente (62).

Il serpente portato in giro dai fonditori era quindi il simbolo della loro produzione.
Il fatto che fosse enorme corrisponde alle attese di coloro che lavoravano, i quali speravano di trovare un filone abbondante per poter produrre tanto metallo e così guadagnare.

Ma nell’iconografia dell’antichità arcaica serpente è il ” figlio della Terra ” per antonomasia, nei cui recessi, nelle cui grotte, nel cui  grembo trova rifugio.

Ci troviamo quindi di fronte a due simbologie veramente importanti: la lavorazione del metallo, del rame, del bronzo e la Madre Terra, che dà la vita, la coltivazione dei campi. Due elementi di fondamentale importanza dal risvolto sacrale che possono essere ricondotti agli antichi costruttori del Sercol..
Un tempio, un calendario solare per regolare le semine e i raccolti (..madre terra…), costruito da una popolazione di agricoltori e lavoratori di metalli….

E la montagna sacra e il suo Sercol sulla cima si sono trovati così per millenni protetti dal mitico serpente crestato,simbolo dell’antico culto,misterioso abitatore dei profondi recessi della terra (come la grotta del bus d’Ernesto..)e a ancora abbastanza forte da scacciare i frati della nuova religione col suo canto simile a quello di un gallo…Una nuova religione che fa fatica ad attecchire tra le nostre valli..e per riuscirci è costretta a spezzare gli antichi idoli,a sostituire gli antichi dei con i suoi santi,i millenari riti solari dei raccolti con le proprie festività..
Ma sul Monte Cavallo di Nuvolera trovarono una resistenza inaspettata…
Un croce incisa nella roccia, da una mano spaventata tanti secoli fa, fu l’ultimo tentativo di tenere segregata su quel monte maledetto l’antica religione e i demoni pagani che abitavano il cerchio di pietre…

La grotta del sercol

articolo e fotografie, Armando Bellelli – Serena Oneda

La saga del Sercol di Nuvolera non ha intenzione di finire e il cerchio più misterioso d’Italia continua a riservare sorprese.
E’ il turno di Serena Oneda, brillante speleologa di 28 anni originaria di Brescia, che ha effettuato una straordinaria scoperta nei pressi delle rovine abbandonate. La giovane esploratrice ha individuato uno strettissimo imbocco e vi è entrata strisciando. Ha così trovato un antro di circa dieci metri per dieci e un piccolo pozzo chiuso profondo pochi metri.

All’interno resti di antiche ceramiche ed altre tracce antropiche testimoniano un’antica frequentazione umana della caverna. Un luogo che contribuisce ad alimentare l’alone di mistero e leggenda del cerchio di pietre di Nuvolera. A poche centinaia di metri, un’altra spelonca, nota col nome di “Bus d’Ernesto”, ha fornito una gran quantità di materiali dell’Età del Bronzo, essendo stata usata anticamente come luogo di sepoltura e santuario.

E’ possibile che questo nuovo ritrovamento possa riservare sorprese simili o addirittura superiori. Impressionante l’atmosfera sacrale che avvolge la sala sotterranea dando la netta impressione che in passato possa essere stata sede di antichi e arcani culti.

La grotta, sconosciuta fino a quel momento, è stata così battezzata e registrata in catasto dalla signorina Oneda col nome di “Grotta Sacra del Sercol”. Si spera che in futuro possa essere oggetto di veri e proprie indagini archeologiche specializzate.

Quali altri segreti sono celati in quegli anfratti e in quelle rocce?”