Borzonasca (GE), visibile dalla strada che collega Borzonasca (GE) con la frazione di Zolezzi / Su uno sperone di roccia vicino al Passo delle Rocche si trova scolpito un enorme volto megalitico alto circa 7 metri e largo 4, con tanto di occhi, naso, capelli e un possibile copricapo.

IL VOLTO MEGALITICO DI BORZONASCA


ARTICOLO E  FOTOGRAFIE
/ LORENZO SARTORIO

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Il giardino esoterico

Nel gennaio del 1965, in Val di Stura, in occasione dei lavori di costruzione di una strada carrozzabile che collegasse Borzonasca (GE) con la frazione di Zolezzi, l’allora assessore ai lavori pubblici, Armando Giuliani, fece una scoperta tanto incredibile quanto casuale. Vide infatti che, su uno sperone di roccia vicino al Passo delle Rocche si trovava scolpito un enorme volto megalitico alto circa 7 metri e largo 4, con tanto di occhi, naso, capelli e un possibile copricapo.
Data la sua estrema somiglianza con il volto della Sindone, si è presto pensato che si trattasse di una raffigurazione di Cristo, che i frati della vicina abbazia di Sant’Andrea avrebbero scolpito in epoca medioevale probabilmente come voto per l’avvenuta cristianizzazione della vallata. Pare anche che le stesse popolazioni locali, nei tempi passati fossero solite recarsi in pellegrinaggio per venerarla, secondo una usanza che si rifaceva a precedenti culti pagani diffusi nell’area: con la chiusura dell’abbazia però, questa usanza andò persa, così come la memoria di quel gigantesco volto.
Questa  interpretazione, sostenuta ad esempio dal professor Duilio Citi (1),  è stata però smentita da altri che hanno sottolineato come il manufatto non guardi l’abbazia, ma in linea d’aria le volta idealmente le spalle, così come le modalità stese della scultura andrebbero fatte risalire ad epoche più remote, dove appunto le tecniche di lavorazione erano più rozze.

Le difficoltà di trovare una soluzione soddisfacente nascono soprattutto dal fatto che di studi approfonditi non se ne sono fatti, e la cosiddetta “scienza ufficiale” a partire dalla Soprintendenza Archeologica Ligure, tenda a liquidarlo più che altro come una parete di roccia dalla vaga conformazione antropomorfa. Sono solo gli studiosi amatoriali che han cercato di approfondire la questione facendolo risalire all’epoca paleolitica (tra il 20000 e il 12000 a.C.), pur con tutte le difficoltà date dalla mancanza di reperti simili da confrontare: di fatto, l’unico esemplare per certi versi assimilabile si troverebbe agli antipodi rispetto alla Liguria, e sarebbe il cosiddetto “colosso di Wanghape” in Nuova Zelanda!
Ciò che invece è presente in varie località della regione e del basso Piemonte sono alcune teste litiche con volti di uomini e donne e dal valore apotropaico (ovvero, volte a proteggere le abitazioni dagli spiriti maligni)  poste sulle architravi e sugli stipiti delle porte; se ne possono trovare nella stessa Borzonasca, nelle frazioni di Borzone e Zolezzi, ma anche a Sampeyre (CN), Casteldelfino (CN), Pontechianale (CN), Brugnato (SP), Carro (SP) e Vernazza (SP), per cui è ipotizzabile una analoga finalità anche per questa scultura.
Ciò  sposterebbe peraltro la sua datazione ad un epoca più recente, quando nel territorio si erano insediati i Liguri (intorno al 2000 a.C.): che quest’area potesse avere una valenza sacra sarebbe confermato dalla presenza del vicino monte Penna, il cui toponimo deriverebbe dal dio Pen, divinità delle cime. Si potrebbe allora pensare che il volto megalitico potrebbe esserne una rappresentazione posta a presidiare la valle e le comunità che si trovavano al di sotto di essa.

Niente di certo, in ogni caso: risulta anche difficile capire se si tratti di un volto maschile o femminile, come pure potrebbe essere, dal momento che non ha la barba; da un punto di vista strettamente figurativo, il naso, il mento, l’orecchio e l’occhio destro sarebbero stati realizzati “in rilievo” mediante l’eliminazione del materiale intorno ad essi, mentre l’occhio sinistro, al contrario, è stato ottenuto scavando la stessa roccia. Nonostante questi elementi, manca del tutto la bocca, mentre al di sotto della linea del mento sembra esserci una sorta di busto, quasi a voler proseguire la scultura o a collocare la testa su un adeguato supporto.
Se questo non bastasse, nel 2016 il pilota genovese di droni Ugo De Cresi avrebbe fatto una scoperta ancora più sensazionale: un secondo volto accanto al primo, ma non visibile direttamente dalla strada. In questo caso si tratterebbe di un volto dall’aspetto “corrucciato”, perfettamente delineato, che si troverebbe nella parte sinistra, in corrispondenza con la fenditura della roccia.
Questo non fa che alimentare gli interrogativi sul manufatto, ammesso che sia davvero tale e non si tratti di un semplice fenomeno della natura: in tal senso bisogna ricordare come spesso gli elementi atmosferici nel corso dei millenni si siano sbizzarriti a modellare la roccia dandole strane conformazioni zoomorfe o antropomorfe, come ci ricordano ad esempio la cosiddetta “sfinge di Gallura” in Sardegna, oppure i caratteristici “ciciu d’pera” di Villar San Costanzo (CN), a forma di fungo o i “camini delle fate” in Cappadocia
Bisognerebbe allora svolgere degli studi più approfonditi (e non solo a livello amatoriale) per poter dire qualche parola definitiva in merito, e togliere un po’ di quell’alone di mistero che questa roccia continua a generare.

Alone che sembra essere venuto meno per un’altra particolare struttura presente nella zona: in località Prato Mollo infatti si trova una particolare conformazione rocciosa comunemente nota come “Pietra Borghese”, una struttura particolarmente dura e che non ha corrispondenze nelle vicinanze. Tra le sue peculiarità c’è quella di far deviare l’ago magnetico alle bussole, oltre che di attirare i fulmini e di risuonare come una campana se percossa con un martello. In questo caso i geologi sono riusciti a dare una spiegazione corretta affermando che non si tratti di un meteorite o qualche manufatto extraterrestre, ma di una composizione di lherzolite, un tipo di roccia magmatica formatasi nelle profondità della crosta terrestre e poi emersa in seguito alle distensioni delle faglie.
Nessun mistero quindi, ma una struttura talmente particolare che merita comunque di essere conosciuta e, se possibile, esplorata.
Così come, benché al di fuori dei percorsi strettamente  misteriosi, merita una visita la basilica di Sant’Andrea, realizzata intorno al XII secolo su una struttura preesistente, probabilmente di origine longobarda. Il complesso venne con ogni probabilità fondato dai monaci di San Colombano a Bobbio (PC) che avevano esteso i loro possedimenti fino al mare, ma fu elevato ad abbazia ufficialmente nel 1184, per volere dell’arcivescovo di Genova Ugone della Volta, che lo consegnò alla congregazione benedettina della Chaise Dieux di Marsiglia.
I benedettini vi rimasero ufficialmente fino al 1585, quando l’abbazia venne soppressa e adibita a commenda: soltanto nel 1890 le venne restituito il titolo abbaziale e, vent’anni più tardi, quello di Monumento di Interesse Nazionale.
Questa lunga storia naturalmente si riflette nella sua architettura: alla originaria struttura medievale, visibile soprattutto nella muratura mista in pietra e mattoni dell’esterno e della torre campanaria, si aggiungono elementi più propriamente barocchi nel suo interno, quando venne intonacato e furono inserite le sei cappelle laterali (1704). Gli ultimi interventi furono fatti nel 1850, con la costruzione della  “sacrestia nuova”, la quale operò come scuola fino alla seconda metà del Novecento.