Luogo: museo di Pontremoli (MS) e museo di La Spezia, presso il castello di San Giorgio / Chi e perché le ha scolpite? si aprono una serie di interrogativi di non facile soluzione, soprattutto per quanto riguarda la misteriosa civiltà che le ha prodotte, e sui cui si possono fare per lo più delle ipotesi, anche a causa dei contesti di ritrovamento, che come si è visto sono per lo più casuali e in aree dove mancano altri elementi di studio e raffronto

LE STELE DELLA LUNIGIANA

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CATEGORIE

Provincia di Imperia

 Coincidenze
Inspiegabile
Statue di civiltà antiche

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Il ritrovamento

Il 29 dicembre 1827 un contadino di Novà, una frazione di Zignago (SP) fece una scoperta del tutto casuale in un campo, una stele antropomorfa in pietra arenaria con incisa una scritta dalla interpretazione ancora oggi incerta, “MEZUNEMUNIUS”, leggibile dall’alto in basso.


Stele di Zignago

Questa statua stele fu portata al museo archeologico di Genova, ospitato dal 1936 nei pressi di Villa Durazzo Pallavicini. Da allora e fino ai giorni nostri, a quel primo ritrovamento ne sono seguiti altri, sempre casuali, in un’area indicativamente identificabile con la Lunigiana (da cui il loro nome), ovvero quella fetta di territorio tra le province di La Spezia e di Massa Carrara, attraversate dal Magra e dai suoi affluenti.

I gruppi più importanti si trovano ora presso due musei, quello di Pontremoli (MS) e quello di La Spezia, presso il castello di San Giorgio, ma ne restano anche altri al di fuori dei percorsi museali, in dimore private o parchi. E’ stato soprattutto grazie al lavoro di studiosi come Ubaldo Formentini, Ubaldo Mazzini e Augusto Cesare Ambrosi che sono stati effettuati i primi interventi di salvaguardia e valorizzazione, nonché i primi studi sistematici su di esse e sulla popolazione che le aveva realizzate.

In particolare nel castello spezzino, che dal 1998 ospita le collezioni del museo dedicate appunto ad Ubaldo Formentini, si può osservare uno dei complessi più numerosi, costituito da diciannove pezzi originali e una serie di calchi posti per confronto. Gli studi condotti nel corso del tempo han permesso di rispondere ad alcuni quesiti circa la civiltà che le ha prodotte, benchè non del tutto sufficienti a dissipare l’alone di mistero che ancora le pervade.

La tipologia delle steli
Mediante il raffronto tra gli oggetti scolpiti indossati dalle statue, come pugnali e asce, ed alcuni effettivamente ritrovati, è stato per prima cosa possibile datarle ad un periodo tra il IV e il III Millennio a.C., ovvero un’epoca che coincide tra la fine dell’età del Rame e l’inizio dell’età del Bronzo. All’interno di questo periodo, le sculture sono state suddivise in tre grandi tipologie a seconda delle loro caratteristiche e delle modalità di lavorazione, da quelle più semplici a quelle più elaborate, e sono state denominate dal luogo del ritrovamento.

Tipo A

In particolare si possono notare le stele del tipo A, le più antiche, nelle quali la testa non è staccata dal resto del busto e le braccia sono semplicemente accennate lungo la scultura; le figure maschili si identificano per la presenza di un pugnale, quelle femminili hanno piccoli seni separati o delle goliere, mentre altre, asessuate, vengono comunemente identificate con figure di adolescenti.


modelli di Tipo A

Esemplari di questo genere sono la Filetto IV, rinvenuta nel 1926 sulla strada per Bagnone (SP) e le nove del gruppo di Pontevecchio (MS), le quali furono individuate nel 1905 in una selva, allineate a terra secondo un ordinamento che è stato mantenuto oggi in sede di esposizione.

Così le descrisse l’archeologo Ubaldo Mazzini:

“Le stele erano piantate di prospetto in mezzo a un quadrato di terra nerissima e pastosa come il burro, in una fila orientata da levante a ponente”

mediante queste poche righe è stato possibile avere una conferma circa il fatto che le sculture venissero collocate nel terreno allineate, quindi in conformità con quelle di altri siti fuori dalla Lunigiana, come ad esempio in Corsica, in Sardegna o nel Vallese.

Tipo B

Le raffigurazioni più celebri e caratteristiche sono però quelle del tipo B, in cui la sagoma del corpo viene definita meglio mediante la separazione della testa dal resto del tronco: in esse è possibile vedere un curioso  copricapo “a cappello di carabiniere” e, nei reperti più completi, pugnali dettagliati o asce con manico ad L.


La Boceda

Numerosi sono gli esemplari di questo genere custoditi nel museo, come  la Boceda, ritrovata nel 1911 in una cava di argilla poco fuori Sarzana (SP), e costituita da una testa forma ellittica con due circoli laterali a simboleggiare le orecchie, e la Filetto IV, rinvenuta nel 1926,  un grosso modello di tronco maschile, purtroppo decapitato, ma con un pugnale particolarmente definito, a lama triangolare e con un pendente che parte dal manico, che fa presupporre trattarsi di un esemplare da parata.


Filetto IV

Con particolare riguardo a questo elemento, occorre sottolineare come pugnali di questo genere siano stati effettivamente ritrovati in altre località, come ad esempio a Spilamberto (MO). Remedello (BR) e Rinaldone (VT).

Modello “Verrucola”

Tra gli esemplari maschili di questo gruppo la più caratteristica rimane però il modello “Verrucola”, una testa ritrovata, sempre in modo casuale,  nel 1930 sulla strada statale del Passo del Cerreto, non lontano appunto dalla località Verrucola (una frazione di Fivizzano, in provincia di Massa) su un cumulo di sassi utilizzati per lastricare la strada.

Benchè anche questa abbia la testa a feluca e i fori delle orecchie, si distingue per la forma del viso a T anziché a U e ad un profilo inferiore abbozzato a sottolineare il mento.

Gruppo C

Le stele invece del gruppo C, per la loro maggiore definizione, sono assimilabili a delle statue vere e proprie. Tra esse nel museo spezzino si possono notare il modello “Filetto I”, originale, oltre ad alcuni calchi, la Filetto II e la Reusa, i cui archetipi sono esposti rispettivamente a Pontremoli, nell’atrio di palazzo Bocconi, e a Casola Lunigiana (MS), nel Museo dell’Alta Valle Aulella.

In tutti i casi si tratta di sculture di sesso maschile, con asce dalla forma rettangolare e giavellotti; i particolari delle mani, la linea della testa e del corpo, maggiormente sagomate, le fanno datare alla piena Età del Ferro (VII-VI secolo a.C), ovvero un’epoca ben successiva rispetto alle precedenti: questo fa supporre gli studiosi come la loro produzione non sia avvenuta in maniera continua nel tempo, ma abbia subito, per motivi poco chiari, un lungo periodo di intervallo prima di venire ripresa con queste ultime.

Chi e perché le ha scolpite?
La classificazione dei diversi gruppi e la loro datazione sono di fatto gli unici elementi certi oggi a disposizione: oltre, si aprono una serie di interrogativi di non facile soluzione, soprattutto per quanto riguarda la misteriosa civiltà che le ha prodotte, e sui cui si possono fare per lo più delle ipotesi, anche a causa dei contesti di ritrovamento, che come si è visto sono per lo più casuali e in aree dove mancano altri elementi di studio e raffronto.

Per prima cosa va rilevato come sculture di questo genere, seppure con diverse peculiarità, sono state rinvenute in altri luoghi, anche geograficamente lontani: in Italia si possono citare i siti della Valcamonica, dell’arco alpino (Trentino Alto Adige e Val d’Aosta), della Sardegna (soprattutto in località Laconi, in provincia di Oristano) e in Puglia, nel Gargano. Fuori dall’Italia, invece, abbiamo ritrovamenti in Spagna, Crimea, in Romania, in Bulgaria e addirittura in Arabia Saudita, a dimostrazione di come il fenomeno delle stele fosse ben diffuso tra le popolazioni preistoriche.

Con riguardo al territorio lunigianese, si sa per lo più che le popolazioni locali erano dedite a riti sepolcrali con seppellimento in grotte naturali, e che la loro economia superava il livello della semplice sussistenza, e aveva cominciato a sviluppare una attività di accumulo dei materiali; la lavorazione della pietra arenaria farebbe altresì presupporre una certa abilità estrattiva, ma ancora una volta la mancanza di altri reperti impedisce di avere delle certezze. Così come risultano ancora oggi poco chiari i motivi per cui una civiltà, tutto sommato meno evoluta rispetto a quelle vicine, si sia dedicata alla elaborazione di monumenti tanto  elaborati, che presuppongono appunto sia la capacità di estrarre la pietra arenaria dalle cave, sia quella di lavorarle con perizia.

Analizzando i contesti di ritrovamento, l’ipotesi più accreditata è quella secondo cui tali monumenti (soprattutto dei primi due gruppi) venivano collocati in posizione allineata lungo particolari direttrici o in luoghi di sepoltura, probabilmente a simboleggiare o divinità, o personalità importanti locali, sia vive che defunte. Così facendo assolvevano ad una duplice funzione: da una parte delimitavano il territorio, e si ponevano come simbolo di riconoscimento della popolazione che le aveva erette, e dall’altra rivestivano un ruolo propiziatorio delle stesse divinità.

Diverso è invece il discorso per le stele dell’ultimo gruppo, per le quali appare più certa, data la collocazione in luoghi di sepoltura, di monumenti di funebri di particolari personaggi, probabilmente figure di rilievo all’interno dell’insediamento.

Si tratta di ipotesi plausibili, ma che non scalfiscono comunque la loro enorme capacità di fascinazione, nè quell’aurea enigmatica che a distanza di quasi due secoli dal primo ritrovamento, continua ancora a pervaderle.

Per approfondimenti: