SICILIA / Castello di Carini – Carini (PA) / Laura Lanza si aggira ancora nel maniero dove visse la sua infelice vita di sposa?

LA MANO INSANGUINATA DELLA BARONESSA DI CARINI

ARTICOLO / Gabriella Puleo

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Laura Lanza, baronessa di Carini, nacque a Palermo il 7 ottobre del 1529 da Cesare Lanza, barone di Castania e Trabia e da Lucrezia Gaetani. Il padre del barone era un facoltoso avvocato di Catania che aveva fatto fortuna con la professione e due matrimoni con ricche ereditiere. Anche Cesare Lanza, come il padre, si sposò due volte con donne molto ricche, la prima la già citata Lucrezia Gaetani, madre di Laura, vedova e di età avanzata che gli fu promessa in sposa nel 1521 quando egli era ancora un bambino, sposandolo quattro anni dopo. Morì nel 1546 e così il barone passò a nuove nozze con un’altra vedova, Castellana Centelles gentildonna di origine spagnola. Violento e privo di scrupoli, Cesare Lanza non rispettava nessuna norma etica e morale, non arretrando neanche davanti all’assassinio, solo poi aderire a tutte le pratiche religiose che la sua condizione sociale richiedeva.

Anche Laura fece un matrimonio di convenienza, sposando ad appena quattordici anni il sedicenne Vincenzo La Grua e Talamanca, barone di Carini. Il marito apparteneva ad una delle più antiche e nobili famiglie siciliane, travagliata però da difficoltà economiche. Egli si associò così in affari con il ricco suocero, ma sempre in posizione subalterna e, pare anche con utilizzo di denaro proveniente dalla dote della moglie. Uomo inetto e senza carattere, era totalmente succube del suocero, privo di iniziativa e capacità, si tenne sempre fuori dalla vita pubblica alla quale era comunque chiamato grazie al suo rango. Dal matrimonio nacquero sei figli: Eleonora, Lucrezia, Maria, Cesare, Ottavio e Tiberio. Ma il ruolo di madre non alleviò per Laura lo squallido ruolo di moglie infelice di un inetto, che vegetava all’ombra del suocero. Quest’ultimo trascorreva lunghi periodi a Carini, pur avendo uno splendido palazzo a Palermo, occupato dall’amministrazione dei suoi beni.

Fra le sue molteplici attività egli possedeva uno zuccherificio, in società con lo zio Ludovico Vernagallo, ricco mercante palermitano, che aveva sposato una sorella di suo padre. Ludovico aveva un fratello di nome Alvaro che abitava con la famiglia a Montelepre. Di condizione economica più modesta, era padre di tre figli, uno dei quali di nome Ludovico, come lo zio. Il giovane Ludovico andava spesso a Carini ed era ben accetto al castello, dove conobbe Laura nel 1561. I due giovani si innamorarono l’uno dell’altro, iniziando una relazione sentimentale che si protrasse per circa due anni, all’insaputa di tutti, o quasi. Certamente la servitù sapeva che Ludovico andava a trovare Laura nelle sue stanze, come gli abitanti di Carini che vedevano il giovane frequentare spesso il castello. Ma nessuno di quelli che potevano sapere tradì mai il segreto dei due amanti.

La terribile scoperta e il femminicidio

La tragedia scoppiò il 4 dicembre 1563, quel giorno Cesare Lanza aveva deciso di andare a trovare la figlia e all’approssimarsi del castello mandò avanti un servo ad avvertire Laura e suo marito del suo arrivo. Appresa la notizia, Vincenzo La Grua andò a comunicarlo alla moglie, trovandola in compagnia del Vernagallo.  Scopertala in flagrante adulterio in un primo momento non fece nulla, aspettando l’arrivo del suocero, decidendo poi insieme il da farsi. Cesare Lanza, confermando ancora una volta il suo carattere violento e spietato, decise sull’istante di uccidere la figlia e il suo amante. Dopo aver portato a termine l’atroce delitto, aprì le porte della stanza di Laura invitando il suo seguito e la servitù a prendere visione dell’orribile scena. Le salme dei due sfortunati amanti vennero ricomposte dai chierici e portate nella chiesa Madre di Carini. Prima che si desse sepoltura dei due giovani lo spietato barone pretese che i corpi  venissero esposti nella pubblica piazza per rendere manifesto ai carinesi, forse conniventi dell’adulterio, che l’onore del padre era stato riscattato con la morte della figlia e del suo amante.

La notizia dell’atroce delitto arrivò ben presto a Palermo, il Vicerè don Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, non ebbe riguardo contro il malvagio barone, agendo  con energia e tempestività, ma non tanto da poter arrestare l’assassino. Il barone intanto lasciato Palermo si trasferì a Roma, dove riuscì ad ottenere un incontro con Filippo II. Al Vicerè, che chiedeva insistentemente la condanna di don Cesare Lanza, fu risposto che anche se in base alle leggi vigenti allora il diritto di uccidere la donna scoperta in flagrante adulterio era riconosciuto solo al marito, don Cesare aveva assassinato i due amanti in presenza del genero, consenziente di quello che stava succedendo in quella stanza. Al crudele genitore fu quindi permesso non solo di rientrare in Sicilia ma di tornare anche in possesso dei suoi beni, che intanto gli erano stati confiscati. La stessa sorte, o quasi, toccò al marito di Laura che a parte un breve periodo nelle carceri di Castellammare a Palermo, ben presto fu riconosciuto innocente, passando a nuove nozze con Ninfa Ruiz, sorella di un alto funzionario siciliano. Ella morì poco dopo le nozze di morte naturale e così Vincenzo La Grua contrasse nuove nozze l’11 marzo 1566 con Paola Sabia  vedova di Francesco Spinola.

Perché un delitto tanto atroce?

Ovviamente le famiglie coinvolte in questo atroce delitto fecero di tutto negli anni a seguire per cancellare il ricordo dell’accaduto, ma non fu così, rimanendo profondamente impresso nella memoria popolare il tragico evento. Nella seconda metà del XVIII secolo avvenne la prima registrazione scritta del fatto, a cura di un erudito palermitano, il marchese di Villabianca. Alla fine dell’800 Salvatore Salomone Marino condusse delle ricerche sul caso della sfortunata baronessa, consultando gli archivi privati dei principi di Carini e della famiglia Vernagallo, oggi purtroppo non più aperte agli studiosi, scoprendo che fu lo stesso barone di Carini a raccontare una diversa versione dei fatti, che lo sostituiva al suocero come assassino di una figlia di nome Caterina e non della moglie. Versione avallata anche dalla famiglia Vernagallo, che indicava in un Vincenzo l’amante di Caterina La Grua uccisa dal padre. Sicuramente la versione edulcorata faceva comodo alle famiglie coinvolte, ma altre verità ci sono nei documenti conservati negli archivi storici, tra cui il più importante contiene una relazione dettagliata delle autorità siciliane, fondata su informazioni di prima mano e conservata nell’archivio General de Simancas. Il contratto matrimoniale della baronessa è conservato nell’archivio di Stato di Palermo, mentre l’atto di morte di lei e del Vernagallo è trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini.

L’attendibilità del lavoro del Marino verrà messa in dubbio da successivi storici, fino a definire le sue ricerche un falso storico ottocentesco. In anni recenti, il professore Alberto Varvaro, studiando le carte e i documenti contenuti negli archivi, ha affermato che probabilmente si trattò di un delitto premeditato, visto che sia don Cesare Lanza che Vincenzo La Grua erano a conoscenza della relazione tra Laura e Ludovico. La versione avallata da Varvaro è che don Cesare dovendo del denaro al Vernagallo non trovò di meglio, per onorare i suoi debiti, che uccidere il giovane, eliminando anche la figlia adultera per occultare la vera ragione del delitto. La giustizia spagnola del Regno di Sicilia chiuse un occhio e l’assassino se la cavò con poco.

Uno spettro senza pace

Il castello di Carini, aperto al pubblico, regala una visita tra storia e leggenda, dove gli eventi delittuosi ancora oggi a distanza di oltre 4 secoli incutono paura. Laura Lanza si aggira ancora nel maniero dove visse la sua infelice vita di sposa? Molti sono sicuri che la giovane e bella signora è ancora qui a chiedere giustizia allo spietato genitore e all’inetto marito. Colui che la colpì a morte le trafisse il cuore e Laura negli ultimi istanti di vita portò una mano al petto per fermare il sangue che sgorgava già dallo squarcio provocato dal pugnale. L’impronta della mano insanguinata è rimasta impressa in una parete della stanza dove avvenne il delitto, nell’ala occidentale del castello. Si narra che ogni anno il 4 dicembre, giorno della morte della baronessa, l’impronta risulti particolarmente visibile.

Altro mistero è la sepoltura di Laura Lanza. Potrebbe essere stata inumata nella chiesa di Carini ma ciò non risulta da nessun riscontro certo mentre la famiglia Lanza fin dal 1614 possedeva una cripta di famiglia nella chiesa di Santa Cita o Santa Zita in via Squarcialupo a Palermo. La chiesa, pesantemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, è rimasta a lungo in uno stato di degrado, specialmente la cripta, riportata alla luce solo recentemente. Nei sarcofagi sono sepolti don Cesare Lanza e la seconda moglie Castellana Centelles, il nonno di Laura Blasco Lanza, un fratellastro di nome Ottavio ed altri componenti della famiglia. C’è anche un altro sarcofago, senza nome, che raffigura una giovane donna. Laura riposa qui accanto a suo padre  che fu anche il suo carnefice?

E’ questa la verità? Forse non lo sapremo mai, povera Laura e povero Ludovico, uccisi nel fiore degli anni, amanti infelici, vittime della spietata ferocia e sordidi interessi che andavano ben oltre un sentimento puro, che legò i due giovani in vita e chissà. . . .forse anche in morte, aldilà della crudeltà della vita terrena.

INFO

Castello di Carini – Corso Umberto, 1, 90044 Carini (PA) – Tel. 091 8815666 / 091 8611340 https://www.comune.carini.pa.it/castello.asp – castello@comune.carini.pa.it/

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